sabato 31 ottobre 2015

You Get Closer, We Should Not ...by Italian translator and poet Alessandro Pancirolli






And this gem filled with mystery and nuance 
by Italian translator and poet  Alessandro Pancirolli 

 
Alessandro "Jago" Pancirolli







You Get Closer, We Should Not ...

I thought to be out of this maze. I thought to 
Be out of this
That I am now writing. 
You look at me. You smile. "You get closer ,
we should not..."
We know what to expect , a fine rain , we  in hurrying, The Rule.*
It's raining hardly, the wind has ceased,  
The storm is far away...
You cry, you smile at me, you cry.
We walk embraced under the  tall plane trees.
On the riverside.
______________________

Ho pensato di essere fuori da questo labirinto. ho pensato
di  essere fuori da questo 
che sto ora scrivo
Mi guardi. Sorridi." Ti avvicini,
non dovremmo..."
Sappiamo cosa aspettarci , una pioggia sottile, abbiamo fretta, La Regola*
Piove appena, il vento è cessato,
la tempesta è lontana ... 
Tu piangi, mi sorridi, piangi.
camminiamo abbracciati sotto  i platani  alti.
Sul lungofiume.










Dal blog di Adele Kenny http://adelekenny.blogspot.it/



Great prompt idea and very interesting example poems (the Yeats and Pound poems especially). I also like the poem by Alessandro Pancirolli—an intense moment in what must have been an intense romance. 


Jago, I love your poem. It must have been a great romance to have inspired such words. I wish I could read it in the original Italian, but, alas, I only speak English



Thanks, Adele. I'm enjoying this prompt (the example poems and the poem by Alessandro P.), and thinking about the great loves of my life


giovedì 29 ottobre 2015

IL TEMPO

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IL TEMPO
di Ipazia

Il tempo scorre troppo in fretta

Foglie secche sorvolano campi di grano

Alti

Castagne al fuoco s'incontrano

Coi fichi

Il tempo scorre troppo in fretta

Ad agguantarlo provo

Ma mi resta solo vento

Tra le mani.

mercoledì 28 ottobre 2015

ANACREONTE, Timore dell'Ade, da LIRICI GRECI, di SALVATORE QUASIMODO






























Biancheggiano già le mie tempie
e calvo è il capo;
la cara giovinezza non è più,
e devastati sono i denti.
Della dolce vita ormai
mi resta breve tempo.

E spesso mi lamento
per timore dell'Ade.
Tremendo è l'abisso di Acheronte
e inesorabile la sua discesa:
perchè chi vi precipita
è legge che più non risalga.

















lunedì 26 ottobre 2015

Marcello Kalowski, Il silenzio di Abram, Mio padre dopo Auschwitz


 MARCELLO KALOWSKI

IL SILENZIO DI ABRAM

MIO PADRE DOPO AUSCHWITZ

Editori Laterza

 

Dopo aver letto questo libro, una cosa è certa:
Il signor Marcello Kalowski ha,o meglio, aveva , sbagliato mestiere.
Per molti anni  funzionario alla Hebrew Immigration Aid Service, poi improbabile commerciante di orologi e di preziosi, una vita spesa parte in Italia, parte in Israele, due ex mogli, due amati figli, una cagnetta pestifera da accudire, il signor Marcello Kalowski era quasi arrivato alla soglia dei 60 anni senza aver adempiuto al compito che per lui era stato scelto: scrivere.
E scrivere bene, anche.
In una prosa al tempo stesso commossa e razionale, l' autore riesce a dare voce al padre Abram, sopravvissuto ad Auschwitz , ma inghiottito poi da una depressione senza speranze: 

"Per i pochi che sono riusciti ad uscirne vivi, e sicuramente per mio padre, dopo Auschwitz è iniziata un'altra esistenza che in nessun caso è riuscita a costruire un ponte sospeso che lo collegasse alla vita precedente. Sono io che debbo costruire quel ponte, perchè la sua esistenza, subita e vissuta con coraggio, e le contraddizioni, le incertezze, le angosce,  le sue debolezze acquistino il senso e la dignità che meritano."

P.S.

Ho avuto la possibiltà, del tutto fortuita, di avere una breve conversazione con l'autore: se ho capito bene, Abram , dopo un così lungo silenzio, non ha ancora finito di parlarci...

 

 





giovedì 22 ottobre 2015

THE UNIVERSE

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THE UNIVERSE
by Joshua Henry Jones

Count o'er the million leagues from here to yonder
star.
On then. On to the next count of a million more.
Sum up the myriad gleams that light the night;
Add too, the orbit where the cold bright moon doth
soar.
That done, return to earth and with thy mind outline
That huge expanse called space; and then out from our
Hearse
Of changing dust dream out the words - The Universe.

THE UNIVERSE
by Joshua Henry Jones

Conta più di mille leghe da qui alla stella
lassù.
Ed oltre. Oltre fino a contarne un milione di più.
Aggiungi la miriade di bagliori che illuminano la notte;
Mettici anche, l'orbita lungo la quale la luna
si muove.
Fatto questo, ritorna a terra e con la mente immagina
quell'immenso vuoto chiamato spazio; e poi fuori dal nostro
Carro funebre
Di cangiante polvere, sogna le parole - L'Universo.
Traduzione di  Ipazia





sabato 17 ottobre 2015

Henry MoOre alle Terme di DIocleziano























 Una strana emozione ti prende appena varchi la granda sala delle Terme di Diocleziano dove sono in mostra le opere di Henry Moore:
il futuro (anteriore)di Moore ed il passato (remoto) delle antiche mura,la materialtà incarnata delle grandi figure reclinanti e la millenaria sintassi dei grandi mosaici romani si fondono magicamente in uno straniante continuum spazio-temporale.
 Mi è capitato di scambiare il ritratto di Mooore , opera dello scultore italiano Mariano Marini, con uno di quei ritratti etrusco-romani del II-III secolo, e le ricostruzioni dei  grandi sepolcreti per imponenti installazioni moderne!


 
Mariano Marini, Ritratto di H.Moore























Quasi una piccola sindrome di Stendhal.










Mostra promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma, in collaborazione con Tate e con Electa a cura di Chris Stephens e Davide Colombo ,la mostra  presenta una selezione di sculture, disegni, acquerelli e stampedi uno dei più grandi artisti inglesi: Henry Moore (1898–1986). La Tate conserva la collezione più ricca e rappresentativa dagli anni Venti ai Settanta, anche grazie alla donazione dell’artista stesso. Riconosciuto come uno dei più grandi scultori contemporanei, deve il suo successo all’abilità tecnica e inventiva al servizio del racconto della nostra epoca.
Molte le creazioni in mostra che denotano il suo peculiare rapporto tra pieni e vuoti, esaltato dalla monumentalità del luogo, le Grandi Aule delle Terme di Diocleziano. Soprattutto ai vuoti è infatti affidato un senso di continuità tra dentro e fuori, cosi che le sculture non vivono solo nello spazio ma nello stesso tempo lo creano, come se spazio e materia scultorea fossero un tutt’uno. Straordinaria la serie delle figure femminili sdraiate, come espressione dell’eterna femminilità, della Madre Terra. Alle Terme di Diocleziano 75 le opere esposte.

 

domenica 11 ottobre 2015

Due prose poetiche di Peter Riley, THE TOWN ALONG THE TIZA , KALOTASZEG


PETER RILEY


1

The towns along the Tiza

O the towns along the Tiza, the flaking walls, ragged squares, Habsburg 
halls and communist concrete eroding in the river wind, people 
wandering the streets or leaning against walls on market day holding 
the one object they’ve got for sale, a model house or a packet of tea...  
A shepherd with staff and cloak stands outside the Hotel Tiza, gypsies 
in orange skirts and wide-rimmed black hats cluster on corners... 
Border towns stuck with closed borders, holes in the roads, buffalo 
carts ignoring the traffic lights, broken bridges over the Tiza / The last 
offices in the west heated by small woodstoves, desks heaped with 
impractical directives, as the first bits of snow descend and everything 
gets dark together. 
 
 
 
 
Oh! Le città lungo il fiume Tisa,  mura che cadono a pezzi, piazze cenciose, i saloni degli Asburgo e il calcestruzzo comunista erosi nel vento del fiume, gente che vaga per le strade o che se ne sta  appoggiata i muri nel giorno di mercato stringendo stretta la sola cosa che hanno da vendere, il modellino di una casa o un pacchetto di tè... Un pastore  con bastone e mantello se ne sta appena fuori dall'Hotel Tiza, zingare dalle gonne arancioni e un gruppo di cappelli neri a larghe tese  agli angoli delle strade... Città di confine  bloccate sui confini chiusi, buche per la strade ,carretti che non rispettano i semafori, ponti rotti sul fiumte Tiza / Gli ultimi uffici dell' ovest riscaldati da piccole stufe a legno,  sulle scrivanie cumuli di pratiche inevase, mentre i primi fiocchi di neve iniziano a cadere ed ogni cosa insieme si rabbuia.
 
 
 

 
 
 
 
  2
 
Kalotaszeg 
 
 
Low hiils carved into terraces,neglectded
now, full of wild grass. Shortage  of
young people to work the land, gone
to building sites in the towns, Thin,
gnarled, elderly men and women,
digging potatoes inthins strips in the
valley bottoms.They give the greeting,
as always, and bilingually.
  
A dip rather than a valley, a long shallow
trough with maize and potatoes growing
in the bottom among fruit trees, and
shepherds watching small herds on
the shoulders. It is so threadbare and
close to bleak that we constantly have
to remind ourselves that this really is
Kalotaszeg, a name meaning to us a
perculiarly rich and sophisticated music,
wuth its immense dignity and negret, its
air of a saddened royalty.

The young people went away , leaving
theri parents to work the fields. Became
migrant workers, drivers of long-distance
lorries,with the same patience, the same
carved gateway into hore, gable-end
elegance, a radiance of grraceful gestures
cut trough necessity. When we reach the
village (Magyarvalkò) all the gable
ends,which face the streets, are decoratedd
with radiating semicircular structures
under the caves, with elegant urn- and 
bird-like figures pierced symmetrically
trough the woodens slats.
 
Cosmic ornament.  The universe
in attendance, round the corner,
pver the hill, out of sight. Signs of
welcome on the gate post. And an
abandoned collective farm with a
row of big agricultural machines
rotting in the sheds, completely
unsuitable for use in this kind of
terrain. And somewhere, the universe 
in attendance, geese sittin round the
village pump, the woman striding up
 the hill twice daily to wind up the
church clock, the old couples waiting
fot their children to retun.
 
Like the sun and the snow, turning
around each other. 
 
 
 
 
 
Le basse colline coltivate a terrazzamenti, ormai 
trascurati, invasi dalle erbacce. La mancanza di
giovani per lavorare la terra, andati a
a lavorare nei cantieri delle città. Uomini
e donne,magri, contorti, anziani
che coltivano patate in strette strisce 
di terra sul fondovalle. Ti salutano, come
sempre, e in due lingue.
Un avvallamento piuttosto che una valle, un lungo
solco poco profondo , dove crescono granturco e patate
nel fondo tra gli alberi da frutta, e pastori
che custodiscono  piccoli greggi sui bordi.
E' talmente tutto consumato e quasi tetro
che dobbiamo costantemente ricordare a noi stessi
che questa è veramente Kalotaszeg, un nome che per noi
significa una musica particolarmente ricca e sofisticata,
con la sua immensa dignità e rimorso, la sua
aria come di nobiltà amareggiata.

I giovani se ne sono andati, lasciando
i genitori a lavorare nei campi. Divenuti
lavoratori emigranti, autisti di camion su lunghe
distanze, con la stessa pazienza, la stessa strada
scolpita nella speranza, l'eleganza di un fastigio,
uno splendore di gesti aggraziati tagliati attraverso la necessità
Quando raggiungiamo il paese ( Magyarvalkò)
tutti i fastigi, che danno sulla strada, sono decorati
con strutture semicircolari a raggi sotto le grondaie,
con vasi eleganti e figure dalle forme di uccelli
forati simmetricamente attraverso le assi di legno.

Ornamento cosmico. L' universo
presente, dietro l'angolo
sopra la collina, fuori vista. Cartelli di
benvenuto sulle colonne dei cancelli. E una
fattoria collettiva abbandonata con
una fila di grandi macchine agricole in disfacimento
nei capannoni, del tutto inadeguate per l'uso
in questo tipo di terreno. E da qualche parte,
l'universo presente, le oche appollaiate intorno
alla pompa  del paese, la donna che
cammina a grandi passi sulla collina due volte
al giorno per caricare l'orologio della chiesa,
la coppia di vecchi che attende il ritorno dei figli.

Come il sole e la neve, che girano
uno appresso l'altro.

 
 
 



 
 
 
 
 
 
 

mercoledì 7 ottobre 2015

Per ricordare il primo amore


FIRST LOVE
by Jennifer Franklin

The boy beside me
is not you but he
is familiar in all

the important ways.
I pass through life
finding you over

and over again-
oppress you
with love. And every

surrogate?
Afflicted by my
kindness, they leave

me with my music.
I loved you before
I ever loved you.

domenica 4 ottobre 2015

PETER RILEY, S.CECILIA IN TRASTEVERE



                    PETER RILEY, S.CECILIA IN TRASTEVERE




Stefano Maderno / Santa Cecilia ,1600, Altare della Confessione,
Basilica di Santa Cecilia, Roma



What moves between bright thoughts and finished body?
Music’s Idea turns in the clouds and she
Lies on the floor, denied her time, face
Turned away so as not to view her own pain...

What moves between is all we live, heavy
And light banked in winged tiers, that we
Carve our eyes through day to day, kiss
The bed and back to the devastating sight again...

I believe in a centre to the wasted life
That is carried before the world and holds love
Through distance and strife to the end of a
Perfect reconciliation however many times
Occluded in failed responses finally standing
Whole and obvious, like an orchard in the rain.






sabato 3 ottobre 2015

Peter Riley , THE DAWN CROWS OF CLUJ, from THE DANCE AT MOCIU, trad. Alessandro Panciroli


The Dawn Crows of Cluj

  We were staying at the Hotel Melody, on the corner of the main square of Cluj. I woke up very early in the morning, went to the window, drew aside the curtain and looked out. The first yellowish light of a clear sky was in place over the square, turning pink towards the ground, and a migration of crows was in progress..







  Alloggiavamo all'Hotel Melody, all'angolo della piazza principale di Cluj. Mi ero svegliato molto presto al mattino, ero andato alla finestra, tirato le tende e guardato fuori. La prima luce giallastra di un cielo sereno si stagliava su tutta la piazza, e diventava quasi rosa verso il basso, e si iniziava una migrazione di corvi . Erano ovunque, a migliaia, riempivano l'aria, posati su qualsiasi cosa fosse in vista. C'erano lunghe loro file sulle sommità dei tetti,  erano posati  sulle banderuole, si affollavano sulla guglia della Cattedrale, si arrampicavano sulle sue protuberanze, svolazzavano via di nuovo.
 
Stavano sulle statue, sopra le auto, su ogni punto elevato ma mai molto a lungo, e per tutto il tempo un movimento ribollente di corvi in volo tra e sopra i palazzi, in tutte le direzioni ma sopratutto verso  ovest, dove mi trovavo io. Le file  sulle sommità dei tetti cambiavano continuamente, i loro membri volavano via e venivano sostituiti dai nuovi venuti, si facevano avanti, volavano via, venivano e se ne andavano. Una grande fiumana di corvi  si riversava proprio sopra di me, e l'aria era piena dei loro richiami, da tutti i lati, vicino e lontano.

L' architettura, sopratutto  al livello dei tetti, è ancora per la maggior parte in stile " Barocco Asburgico", con tetti precipitosamente spioventi, balaustre ornamentali, torrette per ogni dove. I corvi dipinsero questa scena nel lontano passato: cielo e terra, città e campagna, Vecchia Europa. Non solo ma anche Europa: i corvi Britannici non migrano. Per una migrazione è necessario un continente.

 Uno stato di esaltazione con un cuore nero al centro, il fiume di corvi si riversava sopra l'albergo come qualcuno che faccia un brindisi durante un banchetto funebre, grandi estensioni di terra che si allargano su tutti i lati ,pianure montagne fiumi foreste, abitate orgogliosamente ed instabilmente, un grande onore e una grande paura, Monarchia solitaria nelle campagne. I richiami degli uccelli risuonano all'alba in piccoli e miseri villaggi sulla strada principale, quando i primi autocarri partono per Vienna.

giovedì 1 ottobre 2015

Da GREEEK PASSAGES di Peter Riley, Argolide 2003, Trad: A. Panciroli



The narrow shore behind Lerna, barely room to walk between the sea and the tall fences of the orange groves / Cloudy day on the stones / and suffering shall cease / and we all return to a pre-Aurignacian repletion / end all this / advance, torment. // There is no path, it ends / squeezed between land and sea / a dark town across the bay / clumps of giant fennel, used in ancient times for carrying fire, the pith inflammable and long burning, we trust it and it / ends and we turn back, one by one it ends. / Roy Fisher hears me, up in the northern hills / and turns to pat / the dog that died


La spiaggia di Lerna (Grecia)



 La stretta spiaggia dietro Lerna, spazio a malapena per camminare tra il mare e gli alti recinti degli aranceti /   Un giorno nuvoloso sugli scogli / ed il dolore avrà fine / e tutti noi torneremo ad una sazietà pre- Aurignaziana / la fine di tutto questo / progresso, tormento.// Non c'è sentiero, qui infatti termina, stretto tra terra e mare / una città oscura oltre la baia / cespugli di finocchio gigante, usati nei tempi antichi per trasportare il fuoco,  per il succo  infiammabile e che brucia a lungo, noi ci  crediamo e / qui finisce  e torniamo indietro, uno alla volta qui termina. /  Roy Fisher mi sente, in alto sulle colline a nord / e si volta per accarezzare / il cane che è morto.