mercoledì 31 dicembre 2014

Alfonso Gatto, SERA DI NAPOLI









A Marilia Aricò

                                                         
                                 SERA DI NAPOLI


                                                                                     



La canzone dei poveri s'accende
dopo la sera con un lume solo.
E la vecchia città murata al cielo
nella rotonda cupola dell'erba
rispecchia nel suo freddo stacco il giorno
sbiadito dei garofani.

                                      Dispera
in un'allegra povertà la voce
sciupata d'una femmina, il fanciullo
che corre sulle case: alle ringhiere
tese nei fili ancor si spoglia il bianco
riverbero dei muri e tocca il capo
fatto già d'ombra a una donna uscita
al suo balcone d'aria con la mano
dolcissima sul petto.

                                     Basta il vento
l'ultimo vento della sera ai lumi
che tornano dal mondo, a quell'odore
sbiadito di garofano se il cuore
trema ogni volta d'apparire al canto
triste che cerca la felicità.


                                 

mercoledì 24 dicembre 2014

WINTER LOVE



WINTER LOVE
by Linda Gregg

(E lo so che Jago voleva rompere gli schemi del Natale col post precedente ma questa poesia mi è piaciuta molto nella sua semplicità mentre fotografa l'istante di una vita.
E la nostra vita non è fatta di tanti istanti messi insieme?)
Buon Natale, comunque e dovunque siate.

I would like to decorate this silence,
but my house grows only cleaner
and more plain. The glass chimes I hung
over the register ring a little
when the heat goes on.
I waited too long to drink my tea.
It was not hot. It was only warm.


martedì 23 dicembre 2014

In the Murmurs of the Rotten Carcass Inferno : Daniel Borzutzky : Harriet the Blog : The Poetry Foundation

In the Murmurs of the Rotten Carcass Inferno : Daniel Borzutzky : Harriet the Blog : The Poetry Foundation


Per chi conosce abbastanza l'inglese un graffiante post di Daniel Borzutzky sui Brontolii dall' Inferno della Carcassa Decomposta...

Spero col tempo di poterne tradurre almeno alcune parti.

dal sito Bandjob.com








L' Economia della Carcassa Decomposta.

Se io avessi una idea del perché scrivo poesie, ma non ne sono sono sicuro, potrei cercare di indovinare, per parafrasare Don Mee Choi ,che scrivo poesie per tentare di descrivere a cosa somiglia un inferno neoliberista,  a cosa somiglia uno stato-morte privatizzato, razzista ,capitalista e segregazionista, a cosa somiglia una economia della carcassa decomposta:  di chi si ciba , chi caca , chi assorbe, chi rifiuta di assorbire, cosa uccide, come uccide, perché uccide, sotto quali condizioni uccide, quando denaro usa per uccidere, di cosa puzza, di cosa puzzino i suoi cittadini, cosa fa al cervello ed al corpo della gente che esso ama , della gente che esso  odia. Penso di scrivere poesie per descrivere queste cose. E, cosa ancora più importante, spero che nella vita reale io lavori abbastanza duramente da descrivere queste cose: ( descrivere, comunicare, sviare , combattere, rallentare,  ribaltare, rovesciare, non esserne ucciso, non esserne inglobato, trovare qualche modo di non essere del tutto assorbito  dagli orrori della economia della carcassa decomposta, trovare una qualche speranza nella battaglia).

Parlo di Chicago e parlo anche del Cile, con le loro comuni devastanti, grottesche privatizzazioni ,della  loro grottesca violenza militare e poliziesca,della loro grottesca segregazione economica, del loro grottesco trattamento della scuola pubblica e degli insegnanti, del loro grottesco chiudere ospedali e sanatori, della loro grottesca centralizzazione del potere nei corpi di uomini disgustosi che privatizzerebbero ogni centimetro della vostra pelle qualora gliene venisse concessa l'opportunità.

Parlo del deserto di Atacama, dove  i frammenti delle ossa di migliaia di Cileni scomparsi furono gettati via come inutili pezzi di immondizia dalla dittatura di Pinochet e lasciati morire di una anonima morte nella sabbia, che, per parafrasare Raul Zurita, ha amato questi corpi molto più di quanto uno stato abbia mai fatto. E parlo del deserto dell'Arizona, dove ci sono centinaia di corpi di  scomparsi emigranti dal Messico e dal Centro America, centinaia di corpi non reclamati, non identificati che morirono nel viaggio dal paese A al paese B. Io scrivo, vivo, comprendo il mondo da una posizione di rabbia e disgusto. Scrivo con la testa nel fango, nella sabbia, da un buco,  sepolto nel corpo corrotto di una città corrotta in un continente corrotto di un emisfero corrotto.

lunedì 22 dicembre 2014

ANTOLOGIA PALATINA, Paolo Silenziario, Autunno, trad. Filippo Maria Pontani



Vale di più la tua ruga, Filinna, di tutta la linfa
  di giovinezza; preferisco stringere
quelle tue poma, con tutta la punta che pencola, invece
  del seno, ritto d'una giovincella.
Vince codesto autunno l'altrui primavera, più caldo
   l'inverno tuo che l' estate d'un'altra.






CougarWoman

sabato 20 dicembre 2014

ANTOLOGIA PALATINA,Paolo Silenziario, AMO PIÙ LE TUE RUGHE..., trad. S. Quasimodo







Amo di più le tue rughe, Filinna,
che lo splendore della  giovinezza.
Mi piace sentire nella mano
il tuo seno, che piega giù pesante
le sue punte, più del seno diritto
d'una ragazza. Il tuo autunno è migliore
della sua primavera ed il tuo inverno
è più caldo della sua estate.



Mario Sironi, Nudo Femminile, 1926


venerdì 19 dicembre 2014

James Waldeen,Negli interstizi del cuore..., trad A.Pancirolli



Come al solito, per Natale, riceviamo i misteriosi versi di James Waldeen:
















Many years have passed , yet we 're still  here Loreley ...
In the interstices and intermittences of the heart , in the fragments of time,
in the unspoken thoughts ,  in the  unspoken words  or in  those misunderstood .

You are  here Loreley
and maybe, maybe I say , it was really love






Molti anni sono passati, eppure Lalla ci sei ancora...
Negli interstizi, nelle intermittenze del cuore, nei frammenti del tempo,
nei pensieri inespressi ,nelle parole non dette o in quelle incomprese. 

Ci sei Lalla, 
e forse, forse ti dico, era davvero amore

sabato 13 dicembre 2014

da HOPPER di Mark Strand, " NIGHTHAWKS, NOTTAMBULI, trad. Damiano Abeni


Mark Strand, EDWARD HOPPER, Un poeta legge un pittore, DONZELLI EDITORE.


Un grande poeta e scrittore americano, Mark Strand, premio Pulitzer per la poesia, legge trenta famosi quadri di Edward Hopper, il pittore americano per antonomasia...


Hopper - NIGHTHAWKS-  1942, Olio su tela
Collezione Friends of American Art, The Art Institute of Chicago




In Nottambuli tre persone stanno sedute in quello che deve essere un bar-tavola calda aperto tutta la notte. Il bar è situato all'angolo di una strada ed è violentemente illuminato. Per quanto stia brigando una faccenda, il barista, vestito di bianco, alza lo sguardo verso uno dei clienti. Il cliente, seduto accanto a una donna sovrappensiero, guarda il barista. Un altro cliente, che ci volge la schiena, guarda più o meno verso l'uomo e la donna. È una scena in cui ci si sarebbe potuti imbattere quaranta o cinquant'anni fa, attraversando a piedi di notte il Greenwich Village a New York o, forse, il cuore di una qualsiasi città nel nord-est degli Stati Uniti. Non c'è nulla di ninaccioso, nulla che indichi che il pericolo sia in agguato dietro l'angolo. L'illuminazione fredda dell'interno del bar diffonde densità sovrapposte di luce sul marciapiede antistante, conferendogli proprietà  estetiche. È come se la luce agisse da detergente, perché non v'è traccia di sudiciume metropolitano. La città, come nella maggior parte degli Hoper, afferma se stessa formalmente, piuttosto che realisticamente. La componente dominante della scena è la lunga vetrata attraverso la quale vediamo l'interno. Copre i due terzi della tela, dedlimitando la forma geometrica di un trapezio isoscele, il quale determina la spinta direzionale del dipinto verso un punto di fuga che non può essere visto ma deve essere immaginato. Il nostro occhio viaggia sulla superficie del vetro, muovendosi da destra a sinistra, sospinto dai lati convergenti del trapezio, dal rivestimento verde, dal bancone, dalla fila di sgabelli tondi che paono quasi impronte dei nostri passi, e dal lucore bianco-giallastro del neon lungo il soffitto. Non veniamo attratti all'interno del bar, ma veniamo condotti lungo la sua facciata. Come in una delle innumerevoli scene che notiamo di sfuggita, la sua improvvisa, immediata trasparenza ci assorbe, isolandoci momentaneamente da ogni cosa, e poi ci rimette in libertà perchè possiamo continuare il nostro cammino...(continua)



Hopper - NIGHTHAWKS- Particolare



In Nighthawks, three people are sitting in what must be an all-night diner. The diner is situated on a corner and is harshly lit. Though engaged in a task, an employee, dressed in white, looks up toward one of the customers. The customer, who is sitting next to a distracted woman, looks at the employee. Another customer, whose back is to us, looks in the general direction of the man and the woman. It is a scene one might have encountered forty or fifty years ago, walking late at night through New York City's Greenwich Village or, perhaps, through the heart of any city in the northeastern United States. There is nothing menacing about it, nothing that suggests danger is waiting around the corner. The diner's coolly lit interior sheds overlapping densities of light on the adjacent sidewalk, giving it an aesthetic character. It is as if the light were a cleansing agent, for nowhere are there signs of urban filth. The city, as in most Hoppers, asserts itself formally rather than realistically. The dominant feature of the scene is the long window through which we see the diner. It covers two-thirds of the canvas, forming the geometrical shape of an isosceles trapezoid, which establishes the directional pull of the painting, toward a vanishing point that cannot be witnessed, but must be imagined. Our eye travels along the face of the glass, moving from right to left, urged on by the converging sides of the trapezoid, the green tile, the counter, the row of round stools that mimic our footsteps, and the yellow-white neon glare along the top. We are not drawn into the diner but are led alongside it. Like so many scenes we register in passing, its sudden, immediate clarity absorbs us, momentarily isolating us from everything else, and then releases us to continue on our way.

In Nighthawks, however, we are not easily released. The long sides of the trapezoid slant toward each other but never join, leaving the viewer midway in their trajectory. The vanishing point, like the end of the viewer's journey or walk, is in an unreal and unrealizable place, somewhere off the canvas, out of the picture. The diner is an island of light distracting whoever might be walking by-in this case, ourselves-from journey's end. This distraction might be construed as salvation. For a vanishing point is not just where converging lines meet, it is also where we cease to be, the end of each of our individual journeys. Looking at Nighthawks, we are suspended between contradictory imperatives-one, governed by the trapezoid, that urges us forward, and the other, governed by the image of a light place in a dark city, that urges us to stay.

Here, as in other Hopper paintings where streets and roads play an important part, no cars are shown. No one is there to share what we see, and no one has come before us. What we experience will be entirely ours. The exclusions of travel, along with our own sense of loss and our passing absence, will flourish.

Hopper-- NIGHTHAWK-  Particolare




mercoledì 10 dicembre 2014

Visto che siamo in tema d'addii...



Dylan Thomas scrisse questa poesia per il padre che stava morendo. Tra le varie traduzioni questa mi è sembrata di gran lunga la migliore.
Mi scuso con il traduttore ma non posso citarlo poichè non ho rinvenuto il suo nome.
Pare che Dylan Thomas scatenasse, in occasione dei suoi readings, vere e proprie scene di panico tra i suoi fan, soprattutto donne, che si accalcavano per vederlo e per sentirlo leggere le sue poesie.
Altri tempi, vero?

Non andartene docile in quella buona notte (Maggio 1951)

Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria, contro il morire della luce.

Benchè i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
Perchè dalle loro parole non diramarono fulmini
Non se ne vanno docili in quella buona notte.

I probi, con l'ultima onda, gridando quanto splendide
Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
S'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce.

Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono,
Troppo tardi imparando d'averne afflitto il cammino,
Non se ne vanno docili in quella buona notte.

Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi
Che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire,
S'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce.

E tu, padre mio, là sulla triste altura, maledicimi,
Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
Non andartene docile in quella buona notte,
Infuriati, infuriati contro il morire della luce.

Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.

Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.

Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.

Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.

Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.

And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless me now into your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night,
Rage, rage against the dying of the light.

lunedì 8 dicembre 2014

Henrik Nordbrandt , Hvor vi end rejser hen , Dovunque Andiamo, trad. B.Berni

                                                            Hvor vi end rejser hen



Hvor vi end rejser hen, kommer vi altid for sent
til det vi engang tog af sted for at finde.
Og i hvilke byer vi end opholder
os er det de huse, det er for sent at vende tilbage til
de haver, det er for sent at tilbringe en måneskinsnat i
og de kvinder, det er for sent at elske
som plager os med deres uhåndgribelige nærvær.


Og hvilke gader vi end synes at kende
fører de os uden om de blomsterhaver, vi leder efter
og som spreder deres tunge duft i kvarteret.
Og hvilke huse vi end vender tilbage til
ankommer vi for sent om natten til at blive genkendt.
Og hvilke floder vi end spejler os i
ser vi først os selv når vi har vendt ryggen til.


Henrik Nordbrandt




Dovunque andiamo, arriviamo sempre troppo tardi
a ciò che un tempo siamo partiti per trovare.
E in qualsiasi città ci fermiamo
sono le case cui è troppo tardi per tornare
i giardini in cui è troppo tardi per trascorrere una notte di luna
e le donne che è troppo tardi per amare
a tormentarci con la loro impalpabile presenza.


E qualsiasi strada ci sembri di conoscere
ci porta lontano dai giardini fioriti che cerchiamo
e che diffondono il loro pesante odore nel quartiere.
E a qualsiasi casa torniamo
arriviamo a notte troppo tarda per essere riconosciuti.
E in qualsiasi fiume ci specchiamo
vediamo noi stessi solo dopo aver voltato le spalle.


HENRIK NORDBRANDT, Il nostro amore è come Bisanzio, Donzelli Poesia, ISBN 88-7989-541-9,
a cura di Bruno Berni.

sabato 6 dicembre 2014

MARK STRAND, Hades, da A Poet's Alphabet, trad. D.Abeni




H sta for Hades, l'Ade, che mi piace ritenere mi abbia influenzato perché di tutti i luoghi mi colpisce come il più poetico. Ultima località di soggiorno, regno stretto tra alte mura, ha un grande difetto - il clima, che è ventoso, buio, e freddo. Il suo maggior pregio è la grande abbondanza di tempo libero che offre. È a picco giù, sotto il mondo, ed è l' immortale luogo di riposo delle anime. Ancora di maggior rilievo: è il luogo in cui i morti attendono una nuova vita, una seconda chance, dove attendono di essere ricordati - rinati nelle menti dei viventi. È un luogo di speranza. E Thanatos, o ciò che noi pensiamo come la personificazione greca della morte, non è in realtà una personificazione, ma una bruma o velo o nuvola che separa la persona ancora in vita dalla vita. Per i greci, che non avevano un vocabolo per  "morte irreversibile", una persona non moriva, si oscurava.




mercoledì 3 dicembre 2014

Sulla morte di Mark


  Quando, diversi anni fa, incontrai la poesia di Mark Strand ne rimasi quasi magicamente colpito...
I suoi versi mi portarono fuori dalla palude della depressione da cui sembrava impossibile uscire; almeno, così mi piace credere.
 Gli incontri che ebbi con lui a Roma in occasione dei suoi reading mi fecero conoscere un uomo alto e bellissimo ,  estremamente alla mano, felice del suo "lavoro", la poesia.
  Le sliding doors della vita mi portarono a fondare, insieme con l'amica Marilia Aricò, questo blog il cui titolo, e forse molti dei lettori non ne saranno a conoscenza, viene proprio da un piccolo libro di Strand, 89 Clouds (Una nuvola non è mai...), e che all'inizio avrebbe voluto parlare solo di questo poeta.
Poi , OTTANTANOVENUVOLEPIUUNA prese, come giusto, vita propria e ritenemmo giusto, io e Marilia, allargarne gli orizzonti letterari e poetici.

Ma non potevo dimenticare Strand e infatti nel blog fratello (come mi piace chiamarlo) http://mark-strand.blogspot.it/ potrete trovare, forse un po' alla rinfusa e me ne scuso, numeroso materiale riguardante Mark.

Infine per ricordare questo grande poeta ho voluto postare MIRROR ,  sicuramente una tra le più ispirate delle sue poesie.


                                  MARK STRAND legge "Mirror" ( Lo Specchio)

martedì 2 dicembre 2014

THE END BY MARK STRAND


When he's held by the sea's roar, motionless, there at the end,
Or what he shall hope for once it is clear that he'll never go back.

When the time has passed to prune the rose or caress the cat,
When the sunset torching the lawn and the full moon icing it down
No longer appear, not every man knows what he'll discover instead.
When the weight of the past leans against nothing, and the sky

Is no more than remembered light, and the stories of cirrus
And cumulus come to a close, and all the birds are suspended in flight,
Not every man knows what is waiting for him, or what he shall sing
When the ship he is on slips into darkness, there at the end.

NO MORE CLOUDS AND NO MORE SKY.