mercoledì 30 luglio 2014

LA MASCHERA




Agosto 2012 a Torre Inserraglio

La maschera (poesia ispirata dalla lettura di "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello)









Svegliatevi, malerbe
gridò il più vecchio
ai più giovani
con fare circospetto.
Nessuno in quel dipresso
capì di quella frase
il senso.
Malerbe?
E perchè?
Forse perchè soltanto
essi aveano osato
ciò che egli non avea potuto.
Guardarsi negli occhi
l'un l'altro
e confessarsi
l'acerrimo segreto,
quello d'essersi tolti
la maschera
e senza di quella
andare in giro per il mondo.

Poesia di Ipazia

lunedì 28 luglio 2014

Biggest Teahupoo Ever, Shot on the PHANTOM CAMERA. [Original 720p video]



This day at Teahupoo- Aug 27th 2011 during the Billabong Pro waiting period is what many are calling the biggest and gnarliest Teahupoo ever ridden. Chris Bryan was fortunate enough to be there working for Billabong on a day that will go down in the history of big wave surfing. The French Navy labeled this day a double code red prohibiting and threatening to arrest anyone that entered the water.
Kelly Slater described the day by saying "witnessing this was a draining feeling being terrified for other people's lives all day long, it's life or death. Letting go of that rope one time can change your life and not many people will ever experience that in their life."
All images where shot by Chris Bryan using the Phantom HD Gold camera. To see more of Chris' work check out his website. WWW.CHRISBRYANFILMS.COM





POESIA ALLO STATO PURO..."




sabato 26 luglio 2014

Fernando Pessoa, IL LIBRO DELLA INQUIETUDINE,



LIVRO DO DESASSOSSEGO POR BERNARDO SOARES





Há em Lisboa um pequeno número de restaurantes ou casas de pasto [em] que, sobre uma loja com feitio de taberna decente, se ergue uma sobreloja com uma feição pesada e caseira de restaurante de vila sem comboios. Nessas sobrelojas, salvo ao domingo pouco frequentadas, é frequente encontrarem-se tipos curiosos, caras sem interesse, uma série de apartes na vida.

O desejo de sossego e a conveniência de preços levaram-me, em um período da minha vida, a ser frequente em uma sobreloja dessas. Sucedia que, quando calhava jantar pelas sete horas, quase sempre encontrava um indivíduo cujo aspecto, não me interessando a princípio, pouco a pouco passou a interessar-me...




Courtesy of G.Pancirolli on Flickr




  Esiste a Lisbona un piccolo numero di osterie o ristorantini ove, sopra uno spaccio da dignitosa mescita di vini, si erge un mezzanino dall'aspetto rustico e casalingo, sul tipo dei ristoranti di certe cittadine dove la ferrovia non arriva. In quei mezzanini in cui, esclusa la domenica, gli avventori sono rari, è frequente incontrare tipi curiosi, poveri diavoli, visi senza interesse, gente che vive a margine della vita.
  Il desiderio di tranquillità e i prezzi convenienti mi portarono in un certo periodo della mia vita ad essere cliente assiduo di uno di quei mezzanini. Capitava che, quando vi cenavo verso le sette, incontrassi quasi sempre un tale il cui aspetto, che dapprincipio mi era parso indifferente, cominciò a poco a poco a suscitare il mio interesse.
  Era un uomo dalla apparente età di trent'anni, magro, piuttosto alto, esageratamente curvo quando stava seduto ma un po' meno quando era in piedi, vestito con una certa ma non totale trascuratezza. L'aria sofferente non conferiva maggior interesse al pallido volto dai tratti comuni; una sofferenza di difficile definizione che poteva indicare varie cause: privazioni, angosce, e quel patimento che nasce dall'indifferenza proveniente dall'aver sofferto molto.
  Cenava sempre con parsimonia e alla fine del pasto si arrotolava una sigaretta con tabacco di cattiva qualità. Osservava acutamente i presenti, con aria attenta ma non sospettosa; il suo non era uno sguardo censorio, ma un'attenzione che tuttavia non sembrava rivolta ai tratti ed alle fisionomie della gente. Fu questo suo curioso atteggiamento che suscitò il mio primo impulso di interesse per lui. Cominciai a guardarlo attentamente. Mi accorsi che un'espressione di un'intelligenza discreta animava vagamente il suo viso. Ma l'aria depressa, la fredda angoscia stagnante fasciavano così perfettamente la sua fisionomia che era difficile penetrarla.
  Seppi per caso da un cameriere che faceva il contabile in una ditta commerciale vicina.
  Un giorno, per strada, proprio sotto le nostre finestre, ci fu un piccolo avvenimento: due passanti che si azzuffarono. Gli avventori del ristorante si precipitarono alle finestre; anch'io, e anche la persona di cui parlo. Scambiai con lui una frase banale, ed egli mi rispose con una frase simile. La sua voce era opaca e tremula come quella delle persone che non sperano in niente perché conoscono la perfetta inutilità della speranza. Ma forse era assurdo dare tanta importanza al mio serale compagno di ristorante.
  Non so perché, da quel giorno cominciammo a salutarci. Finché una volta, resi forse solidali dall'insolita coincidenza di cenare entrambi alle nove e mezzo, avviammo una conversazione di circostanza. Ad un certo momento egli mi chiese se io scrivessi. Gli risposi di sì. Gli parlai della rivista Orpheu uscita di recente. Egli la elogiò con generosità, e allora io mi stupii sinceramente. Mi permisi di manifestargli il mio stupore, perché l'arte di coloro che scrivono su Orpheu suole essere riservata a pochi, ma egli rispose che forse era uno di quei pochi; e poi aggiunse che una tale arte non gli diceva, in verità, alcunché di nuovo: e poi timidamente mi confidò che, non avendo molte cose da fare né dove andare, né amici cui poter far visita, né passione per la lettura, era solito passare le sue serate, nella sua stanza d'affitto, scrivendo anche lui.




(90) 

   Penso a volte che non uscirò mai da questa Rua dos Douradores. E se lo scrivo, mi sembra l'eternità

giovedì 24 luglio 2014

ANACREONTE, Eros, trad. Salvatore Quasimodo, da Lirici Greci




Μεγàλωι  δηυτε΄ μ'  ''Ερωσ ''εκοψεν χαλκεùσ
πελéκει, χειμεριήι δ΄ èλουσεν èv  χαρàδρηι



Eros, come tagliatore d'alberi
mi colpì con una grande scure,
e mi riversò alla deriva
d'un torrente invernale.

mercoledì 16 luglio 2014

THE WAY WE WERE






 di Wislawa Szymborska
Un’adolescente
Io – un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?
Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?
Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.
Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.
In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.
Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco -
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più -
ma non in modo certo.
Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.
Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.
La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.
Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.
Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa -
Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.
La conservo ancora.

giovedì 10 luglio 2014

Alfonso Gatto, ALBA A SORRENTO



ALBA A SORRENTO




Al freddo stretto i limoni movevano la luna d'alba
prossima ad esalare scialba nel cielo dei portoni.
Sulla finestra a grate, tra i rami d'arancio
portava il vento uno slancio di polle rosate:
i gerani smorti dal gelo  trepidavano d'aria
sotto l'arcata solitaria illuminata dal cielo.

Ai monti pallidi d'ali sorgevano voci remote ,
per strada le ruote dei primi carri,i fanali
tenui nel vetro dell'aria, trasparenza del verde
fresco delle persiane; lungo i cancelli
il sole era un caldo cane addormentato tra i monelli.





domenica 6 luglio 2014

THE BRANCUSI MONUMENTS AT TIRGU JIU, By Peter Riley, ( THE DANCE at MOCIU) ,trad. A.Panciroli



I MONUMENTI DI BRANCUSI A TIRGU JIU





Constantin Brancusi / Self Portrait


Tutte le guide turistiche lo dicono, questo è tutto quello che la città può offrire. Tutto quello che ha, glielo ha donato Brancusi: un arco di pietra, un viale, un tavolo di pietra con dieci sedili intorno dal'altra parte della città, una colona d'acciaio  alta e slanciata.

Un arco di calcare quadrato attraverso il quale si entra in un viale ricavato tra gli alberi del parco cittadino, con panchine in pietra poste a delimitarne i margini, viale che conduce ,sul lato più lontano del parco, ad un  tavolo di pietra circolare, il Tavolo del Silenzio, con intorno dieci sedili simili, appena prima di un argine erboso. Risalendo l'argine si trova il fiume, assai ampio qui, qualche fabbrica e qualche palazzo in lontananza sulla riva opposta.Volgendosi e guardando indietro il viale  verso l'arco vi troverete rivolti verso la Colonna Senza Fine, dall'altra parte della città, ma non riuscirete a vederla.

L'arco (come la colona) è una costruzione di disegni. Linee verticali che girano come  a drappeggiare su cerchi verticalmente divisi in due  e  descrivono  un'armonia platonica proposta come il fondamento di una nuova struttura pubblica, alla fine della guerra.  La colonna, che tu la veda o che tu la  conosca, al di là dei palazzi sull'altro lato della linea ferroviaria, è un segno di appartenenza definitiva,  la croce del "qui" che arriva sino al cielo. Se non la conosci, o non riesci a vederla, non sarai in sintonia con la città.




Io sono veramente soddisfatto della città.

Risiedevamo  in un mostruoso albergo in cemento appartenuto al Partito pieno di spazi  inutilizzati e scale buie. A sera uscivamo dall'hotel  spinti dalla fame,  per vagare nel grande spazio centrale della città cercando inutilmente un posto dove mangiare  ( nessuno può permettersi di mangiare fuori nelle città romene), e ammiravamo tuttavia il grande spazio pubblico privo di traffico con la gente che passeggia e ragazzini in bicicletta, come se una moderata povertà favorisca la calma e la sicurezza.
Poi vedevamo un paio di coffee bar prossimi alla chiusura, un fornitissimo negozio di alimentari, ci compravamo in una piccola bottega una bottiglia di vino rosso dolce e trovavamo alla fine una piccola pizzeria di fronte all'albergo, amichevole e lenta. E ho dovuto ammettere che qui ero un ricco, quando in patria non potevo permettermi niente. Ed essere ricco con niente da poter comprare mi ha rimesso al mio posto.

E tornavamo ad aprire la finestra al secondo piano per guardare fuori mentre sorgeva l'oscurità  tra gli edifici sotto di noi, che sembravano scarsamente abitati se non del tutto vuoti,i  giardini trascurati, i corvi sulle cime degli alberi sopra le strutture di Brancusi che facevano un fracasso del diavolo.

La mattina seguente la terza battaglia per farci comprendere  colazione produsse  infine una ...salsiccia.
Sedevamo a tavola su di un lato di una tetra, buia, inutilizzata sala da ballo con un bar assai sfornito, un televisore a tutto volume come sempre ed un palco vuoto in cui faceva mostra di sè un tappeto. Tutti  le altre persone  erano di sesso maschile e assomigliavano a lavoratori  immigrati. Sulla parete marrone, dietro a dove l'ultima band aveva suonato, erano rimaste incollate delle stelle di carta argentata , piuttosto lacere adesso, e sembrava come se qualcuno le avesse tagliate con le forbici da un incarto della cioccolata.

Ma quella splendente luce del mattino che rende un bel luogo ogni misera città,  ci rimise in sesto. L' Arco dell Abbraccio, di nuovo il viale, il tavolo di pietra vuoto e silenzioso come  se stesse aspettando per settanta anni l' incontro che risolverà tutte le nostre divergenze. Seguiamo le istruzioni di Brancusi e camminiamo lungo il viale fino a passare sotto l'arco e poi dritti attraverso la città: oltre l'albergo,  attraverso la piazza della cittadina ed i suoi negozi mezzi vuoti in un distratto movimento mattutino; poi una strada di palazzi di  non meglio specificate istituzioni, fino a deviare sull'altro lato di una sgraziata chiesa del 19° secolo, a di nuovo dritti attraverso i piccoli sobborghi del centro, un pò di case rurali, ed infine attraversiamo la ferrovia dove la strada finisce nell'altro parco, l'altro spazio. E lì, di fronte a noi, mezzo chilometro di erba alta, la colonna.




La colonna è racchiusa da una impalcatura. Un campo di baracche temporanee e grandi roulotte delimitati in una barriera d'acciaio si stendeva ai suoi piedi. Osservare attraverso l'impalcatura permette di vedere che la colonna è completamente impacchettata, ed è invisibile. Un avviso multilingue spiega che la colonna deve essere restaurata poiché stata attaccata dalla ruggine. L'impresa di restauro ha sede a Parigi e gode di finanziamenti internazionali da parte dell' Europa occidentale. Un messaggio da posti dove siamo sempre in cerca di ragioni per spendere denaro.

E cosa accade agli schemi di Brancusi, ai suoi interventi allegorici, quando non hai in mano nessuna delle sue affermazioni o nessuna delle  analisi artistiche mondiali ma te ne stai in una abbastanza desolata città romena avvolta nei suoi imperscrutabili affari in una mite mattina con queste forme e queste linee di fronte ai tuoi occhi, che non sono così differenti dopo tutto dalla maggior parte delle forme e delle linee che possiamo vedere in tutto il mondo, nei parchi di piccoli paesi, negli alberi..(omissis).sempre che tu possa vederle?

... Ma cosa vedi, quella particolare linea curva che taglia in due quel cerchio che si ingrandisce in maniera unica nel travertino color panna lucido come la lucentezza della pelle umana... diagrammi di affetto che prendono il posto dei trionfi di un arco militare, una nuova fondazione dello stato... Io penso che queste semplici forme ci convincono che ciò che condividiamo in generale è il vero fondamento di quel che siamo.

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Il restauro della Colonna senza Fine ( In Inglese)

Peter Riley sul blog riley-dawn-crows-of-cluj
                         
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mercoledì 2 luglio 2014

Alfonso Gatto, AMICI, da POESIE,Nuova Edizione Definitiva, Vallecchi Editore, Firenze 1941



AMICI




Abitiamo in una sola piazza,tutti: la notte si parla
a stanza aperta dai letti. E la città lavata dal cielo
la riceviamo nel petto, tra le braccia, come un'aman-
te fresca.
Napoli ci bacia: fragorosi cuscini passano alla testa
ubriaca.
In camicia gridiamo alla bella giornata e mascoloni 
e spettinati ci facciamo la barba agli specchi dei
balconi.