mercoledì 31 dicembre 2014

Alfonso Gatto, SERA DI NAPOLI









A Marilia Aricò

                                                         
                                 SERA DI NAPOLI


                                                                                     



La canzone dei poveri s'accende
dopo la sera con un lume solo.
E la vecchia città murata al cielo
nella rotonda cupola dell'erba
rispecchia nel suo freddo stacco il giorno
sbiadito dei garofani.

                                      Dispera
in un'allegra povertà la voce
sciupata d'una femmina, il fanciullo
che corre sulle case: alle ringhiere
tese nei fili ancor si spoglia il bianco
riverbero dei muri e tocca il capo
fatto già d'ombra a una donna uscita
al suo balcone d'aria con la mano
dolcissima sul petto.

                                     Basta il vento
l'ultimo vento della sera ai lumi
che tornano dal mondo, a quell'odore
sbiadito di garofano se il cuore
trema ogni volta d'apparire al canto
triste che cerca la felicità.


                                 

mercoledì 24 dicembre 2014

WINTER LOVE



WINTER LOVE
by Linda Gregg

(E lo so che Jago voleva rompere gli schemi del Natale col post precedente ma questa poesia mi è piaciuta molto nella sua semplicità mentre fotografa l'istante di una vita.
E la nostra vita non è fatta di tanti istanti messi insieme?)
Buon Natale, comunque e dovunque siate.

I would like to decorate this silence,
but my house grows only cleaner
and more plain. The glass chimes I hung
over the register ring a little
when the heat goes on.
I waited too long to drink my tea.
It was not hot. It was only warm.


martedì 23 dicembre 2014

In the Murmurs of the Rotten Carcass Inferno : Daniel Borzutzky : Harriet the Blog : The Poetry Foundation

In the Murmurs of the Rotten Carcass Inferno : Daniel Borzutzky : Harriet the Blog : The Poetry Foundation


Per chi conosce abbastanza l'inglese un graffiante post di Daniel Borzutzky sui Brontolii dall' Inferno della Carcassa Decomposta...

Spero col tempo di poterne tradurre almeno alcune parti.

dal sito Bandjob.com








L' Economia della Carcassa Decomposta.

Se io avessi una idea del perché scrivo poesie, ma non ne sono sono sicuro, potrei cercare di indovinare, per parafrasare Don Mee Choi ,che scrivo poesie per tentare di descrivere a cosa somiglia un inferno neoliberista,  a cosa somiglia uno stato-morte privatizzato, razzista ,capitalista e segregazionista, a cosa somiglia una economia della carcassa decomposta:  di chi si ciba , chi caca , chi assorbe, chi rifiuta di assorbire, cosa uccide, come uccide, perché uccide, sotto quali condizioni uccide, quando denaro usa per uccidere, di cosa puzza, di cosa puzzino i suoi cittadini, cosa fa al cervello ed al corpo della gente che esso ama , della gente che esso  odia. Penso di scrivere poesie per descrivere queste cose. E, cosa ancora più importante, spero che nella vita reale io lavori abbastanza duramente da descrivere queste cose: ( descrivere, comunicare, sviare , combattere, rallentare,  ribaltare, rovesciare, non esserne ucciso, non esserne inglobato, trovare qualche modo di non essere del tutto assorbito  dagli orrori della economia della carcassa decomposta, trovare una qualche speranza nella battaglia).

Parlo di Chicago e parlo anche del Cile, con le loro comuni devastanti, grottesche privatizzazioni ,della  loro grottesca violenza militare e poliziesca,della loro grottesca segregazione economica, del loro grottesco trattamento della scuola pubblica e degli insegnanti, del loro grottesco chiudere ospedali e sanatori, della loro grottesca centralizzazione del potere nei corpi di uomini disgustosi che privatizzerebbero ogni centimetro della vostra pelle qualora gliene venisse concessa l'opportunità.

Parlo del deserto di Atacama, dove  i frammenti delle ossa di migliaia di Cileni scomparsi furono gettati via come inutili pezzi di immondizia dalla dittatura di Pinochet e lasciati morire di una anonima morte nella sabbia, che, per parafrasare Raul Zurita, ha amato questi corpi molto più di quanto uno stato abbia mai fatto. E parlo del deserto dell'Arizona, dove ci sono centinaia di corpi di  scomparsi emigranti dal Messico e dal Centro America, centinaia di corpi non reclamati, non identificati che morirono nel viaggio dal paese A al paese B. Io scrivo, vivo, comprendo il mondo da una posizione di rabbia e disgusto. Scrivo con la testa nel fango, nella sabbia, da un buco,  sepolto nel corpo corrotto di una città corrotta in un continente corrotto di un emisfero corrotto.

lunedì 22 dicembre 2014

ANTOLOGIA PALATINA, Paolo Silenziario, Autunno, trad. Filippo Maria Pontani



Vale di più la tua ruga, Filinna, di tutta la linfa
  di giovinezza; preferisco stringere
quelle tue poma, con tutta la punta che pencola, invece
  del seno, ritto d'una giovincella.
Vince codesto autunno l'altrui primavera, più caldo
   l'inverno tuo che l' estate d'un'altra.






CougarWoman

sabato 20 dicembre 2014

ANTOLOGIA PALATINA,Paolo Silenziario, AMO PIÙ LE TUE RUGHE..., trad. S. Quasimodo







Amo di più le tue rughe, Filinna,
che lo splendore della  giovinezza.
Mi piace sentire nella mano
il tuo seno, che piega giù pesante
le sue punte, più del seno diritto
d'una ragazza. Il tuo autunno è migliore
della sua primavera ed il tuo inverno
è più caldo della sua estate.



Mario Sironi, Nudo Femminile, 1926


venerdì 19 dicembre 2014

James Waldeen,Negli interstizi del cuore..., trad A.Pancirolli



Come al solito, per Natale, riceviamo i misteriosi versi di James Waldeen:
















Many years have passed , yet we 're still  here Loreley ...
In the interstices and intermittences of the heart , in the fragments of time,
in the unspoken thoughts ,  in the  unspoken words  or in  those misunderstood .

You are  here Loreley
and maybe, maybe I say , it was really love






Molti anni sono passati, eppure Lalla ci sei ancora...
Negli interstizi, nelle intermittenze del cuore, nei frammenti del tempo,
nei pensieri inespressi ,nelle parole non dette o in quelle incomprese. 

Ci sei Lalla, 
e forse, forse ti dico, era davvero amore

sabato 13 dicembre 2014

da HOPPER di Mark Strand, " NIGHTHAWKS, NOTTAMBULI, trad. Damiano Abeni


Mark Strand, EDWARD HOPPER, Un poeta legge un pittore, DONZELLI EDITORE.


Un grande poeta e scrittore americano, Mark Strand, premio Pulitzer per la poesia, legge trenta famosi quadri di Edward Hopper, il pittore americano per antonomasia...


Hopper - NIGHTHAWKS-  1942, Olio su tela
Collezione Friends of American Art, The Art Institute of Chicago




In Nottambuli tre persone stanno sedute in quello che deve essere un bar-tavola calda aperto tutta la notte. Il bar è situato all'angolo di una strada ed è violentemente illuminato. Per quanto stia brigando una faccenda, il barista, vestito di bianco, alza lo sguardo verso uno dei clienti. Il cliente, seduto accanto a una donna sovrappensiero, guarda il barista. Un altro cliente, che ci volge la schiena, guarda più o meno verso l'uomo e la donna. È una scena in cui ci si sarebbe potuti imbattere quaranta o cinquant'anni fa, attraversando a piedi di notte il Greenwich Village a New York o, forse, il cuore di una qualsiasi città nel nord-est degli Stati Uniti. Non c'è nulla di ninaccioso, nulla che indichi che il pericolo sia in agguato dietro l'angolo. L'illuminazione fredda dell'interno del bar diffonde densità sovrapposte di luce sul marciapiede antistante, conferendogli proprietà  estetiche. È come se la luce agisse da detergente, perché non v'è traccia di sudiciume metropolitano. La città, come nella maggior parte degli Hoper, afferma se stessa formalmente, piuttosto che realisticamente. La componente dominante della scena è la lunga vetrata attraverso la quale vediamo l'interno. Copre i due terzi della tela, dedlimitando la forma geometrica di un trapezio isoscele, il quale determina la spinta direzionale del dipinto verso un punto di fuga che non può essere visto ma deve essere immaginato. Il nostro occhio viaggia sulla superficie del vetro, muovendosi da destra a sinistra, sospinto dai lati convergenti del trapezio, dal rivestimento verde, dal bancone, dalla fila di sgabelli tondi che paono quasi impronte dei nostri passi, e dal lucore bianco-giallastro del neon lungo il soffitto. Non veniamo attratti all'interno del bar, ma veniamo condotti lungo la sua facciata. Come in una delle innumerevoli scene che notiamo di sfuggita, la sua improvvisa, immediata trasparenza ci assorbe, isolandoci momentaneamente da ogni cosa, e poi ci rimette in libertà perchè possiamo continuare il nostro cammino...(continua)



Hopper - NIGHTHAWKS- Particolare



In Nighthawks, three people are sitting in what must be an all-night diner. The diner is situated on a corner and is harshly lit. Though engaged in a task, an employee, dressed in white, looks up toward one of the customers. The customer, who is sitting next to a distracted woman, looks at the employee. Another customer, whose back is to us, looks in the general direction of the man and the woman. It is a scene one might have encountered forty or fifty years ago, walking late at night through New York City's Greenwich Village or, perhaps, through the heart of any city in the northeastern United States. There is nothing menacing about it, nothing that suggests danger is waiting around the corner. The diner's coolly lit interior sheds overlapping densities of light on the adjacent sidewalk, giving it an aesthetic character. It is as if the light were a cleansing agent, for nowhere are there signs of urban filth. The city, as in most Hoppers, asserts itself formally rather than realistically. The dominant feature of the scene is the long window through which we see the diner. It covers two-thirds of the canvas, forming the geometrical shape of an isosceles trapezoid, which establishes the directional pull of the painting, toward a vanishing point that cannot be witnessed, but must be imagined. Our eye travels along the face of the glass, moving from right to left, urged on by the converging sides of the trapezoid, the green tile, the counter, the row of round stools that mimic our footsteps, and the yellow-white neon glare along the top. We are not drawn into the diner but are led alongside it. Like so many scenes we register in passing, its sudden, immediate clarity absorbs us, momentarily isolating us from everything else, and then releases us to continue on our way.

In Nighthawks, however, we are not easily released. The long sides of the trapezoid slant toward each other but never join, leaving the viewer midway in their trajectory. The vanishing point, like the end of the viewer's journey or walk, is in an unreal and unrealizable place, somewhere off the canvas, out of the picture. The diner is an island of light distracting whoever might be walking by-in this case, ourselves-from journey's end. This distraction might be construed as salvation. For a vanishing point is not just where converging lines meet, it is also where we cease to be, the end of each of our individual journeys. Looking at Nighthawks, we are suspended between contradictory imperatives-one, governed by the trapezoid, that urges us forward, and the other, governed by the image of a light place in a dark city, that urges us to stay.

Here, as in other Hopper paintings where streets and roads play an important part, no cars are shown. No one is there to share what we see, and no one has come before us. What we experience will be entirely ours. The exclusions of travel, along with our own sense of loss and our passing absence, will flourish.

Hopper-- NIGHTHAWK-  Particolare




mercoledì 10 dicembre 2014

Visto che siamo in tema d'addii...



Dylan Thomas scrisse questa poesia per il padre che stava morendo. Tra le varie traduzioni questa mi è sembrata di gran lunga la migliore.
Mi scuso con il traduttore ma non posso citarlo poichè non ho rinvenuto il suo nome.
Pare che Dylan Thomas scatenasse, in occasione dei suoi readings, vere e proprie scene di panico tra i suoi fan, soprattutto donne, che si accalcavano per vederlo e per sentirlo leggere le sue poesie.
Altri tempi, vero?

Non andartene docile in quella buona notte (Maggio 1951)

Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria, contro il morire della luce.

Benchè i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
Perchè dalle loro parole non diramarono fulmini
Non se ne vanno docili in quella buona notte.

I probi, con l'ultima onda, gridando quanto splendide
Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
S'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce.

Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono,
Troppo tardi imparando d'averne afflitto il cammino,
Non se ne vanno docili in quella buona notte.

Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi
Che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire,
S'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce.

E tu, padre mio, là sulla triste altura, maledicimi,
Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
Non andartene docile in quella buona notte,
Infuriati, infuriati contro il morire della luce.

Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.

Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.

Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.

Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.

Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.

And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless me now into your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night,
Rage, rage against the dying of the light.

lunedì 8 dicembre 2014

Henrik Nordbrandt , Hvor vi end rejser hen , Dovunque Andiamo, trad. B.Berni

                                                            Hvor vi end rejser hen



Hvor vi end rejser hen, kommer vi altid for sent
til det vi engang tog af sted for at finde.
Og i hvilke byer vi end opholder
os er det de huse, det er for sent at vende tilbage til
de haver, det er for sent at tilbringe en måneskinsnat i
og de kvinder, det er for sent at elske
som plager os med deres uhåndgribelige nærvær.


Og hvilke gader vi end synes at kende
fører de os uden om de blomsterhaver, vi leder efter
og som spreder deres tunge duft i kvarteret.
Og hvilke huse vi end vender tilbage til
ankommer vi for sent om natten til at blive genkendt.
Og hvilke floder vi end spejler os i
ser vi først os selv når vi har vendt ryggen til.


Henrik Nordbrandt




Dovunque andiamo, arriviamo sempre troppo tardi
a ciò che un tempo siamo partiti per trovare.
E in qualsiasi città ci fermiamo
sono le case cui è troppo tardi per tornare
i giardini in cui è troppo tardi per trascorrere una notte di luna
e le donne che è troppo tardi per amare
a tormentarci con la loro impalpabile presenza.


E qualsiasi strada ci sembri di conoscere
ci porta lontano dai giardini fioriti che cerchiamo
e che diffondono il loro pesante odore nel quartiere.
E a qualsiasi casa torniamo
arriviamo a notte troppo tarda per essere riconosciuti.
E in qualsiasi fiume ci specchiamo
vediamo noi stessi solo dopo aver voltato le spalle.


HENRIK NORDBRANDT, Il nostro amore è come Bisanzio, Donzelli Poesia, ISBN 88-7989-541-9,
a cura di Bruno Berni.

sabato 6 dicembre 2014

MARK STRAND, Hades, da A Poet's Alphabet, trad. D.Abeni




H sta for Hades, l'Ade, che mi piace ritenere mi abbia influenzato perché di tutti i luoghi mi colpisce come il più poetico. Ultima località di soggiorno, regno stretto tra alte mura, ha un grande difetto - il clima, che è ventoso, buio, e freddo. Il suo maggior pregio è la grande abbondanza di tempo libero che offre. È a picco giù, sotto il mondo, ed è l' immortale luogo di riposo delle anime. Ancora di maggior rilievo: è il luogo in cui i morti attendono una nuova vita, una seconda chance, dove attendono di essere ricordati - rinati nelle menti dei viventi. È un luogo di speranza. E Thanatos, o ciò che noi pensiamo come la personificazione greca della morte, non è in realtà una personificazione, ma una bruma o velo o nuvola che separa la persona ancora in vita dalla vita. Per i greci, che non avevano un vocabolo per  "morte irreversibile", una persona non moriva, si oscurava.




mercoledì 3 dicembre 2014

Sulla morte di Mark


  Quando, diversi anni fa, incontrai la poesia di Mark Strand ne rimasi quasi magicamente colpito...
I suoi versi mi portarono fuori dalla palude della depressione da cui sembrava impossibile uscire; almeno, così mi piace credere.
 Gli incontri che ebbi con lui a Roma in occasione dei suoi reading mi fecero conoscere un uomo alto e bellissimo ,  estremamente alla mano, felice del suo "lavoro", la poesia.
  Le sliding doors della vita mi portarono a fondare, insieme con l'amica Marilia Aricò, questo blog il cui titolo, e forse molti dei lettori non ne saranno a conoscenza, viene proprio da un piccolo libro di Strand, 89 Clouds (Una nuvola non è mai...), e che all'inizio avrebbe voluto parlare solo di questo poeta.
Poi , OTTANTANOVENUVOLEPIUUNA prese, come giusto, vita propria e ritenemmo giusto, io e Marilia, allargarne gli orizzonti letterari e poetici.

Ma non potevo dimenticare Strand e infatti nel blog fratello (come mi piace chiamarlo) http://mark-strand.blogspot.it/ potrete trovare, forse un po' alla rinfusa e me ne scuso, numeroso materiale riguardante Mark.

Infine per ricordare questo grande poeta ho voluto postare MIRROR ,  sicuramente una tra le più ispirate delle sue poesie.


                                  MARK STRAND legge "Mirror" ( Lo Specchio)

martedì 2 dicembre 2014

THE END BY MARK STRAND


When he's held by the sea's roar, motionless, there at the end,
Or what he shall hope for once it is clear that he'll never go back.

When the time has passed to prune the rose or caress the cat,
When the sunset torching the lawn and the full moon icing it down
No longer appear, not every man knows what he'll discover instead.
When the weight of the past leans against nothing, and the sky

Is no more than remembered light, and the stories of cirrus
And cumulus come to a close, and all the birds are suspended in flight,
Not every man knows what is waiting for him, or what he shall sing
When the ship he is on slips into darkness, there at the end.

NO MORE CLOUDS AND NO MORE SKY.

domenica 30 novembre 2014

MARK STRAND,Mark Strand - Poems, Biography, Quotes: The End, El Final, La Fine. Mark Strand, Ezequiel ...



Mark Strand, prize-winning poet, dies in NYC at 80






MARK STRAND,Mark Strand - Poems, Biography, Quotes: The End, El Final, La Fine. Mark Strand, Ezequiel ...:     The End  Not every man knows what he shall sing at the end, Watching the pier as the ship sails away, or what it will seem like When he’...




Non ogni uomo sa cosa canterà alla fine,
guardando il molo mentra la nave salpa, o cosa sentirà
quando sarà afferrato dal ruggito del mare, immoto là alla fine.
O cosa spererà quando sarà chiaro che non tornerà.

MARK STRAND E' MORTO ---- LA SUA ULTIMA INTERVISTA



  MARK STRAND ,  poeta e critico americano, ottanta anni compiuti lo scorso aprile, è morto ieri a Brooklyn.







 Un nostro amico, Ezequiel Zaidenwerg, poeta e traduttore argentino,  aveva appena pubblicato quella che può essere considerata la sua ultima intervista:


http://www.letraslibres.com/revista/entrevista/entrevista-mark-strand?page=0,0


 Intervista è pubblicata grazie alla gentile concessione di Ezequiel Zaidenwerg

sabato 22 novembre 2014

Alfonso Gatto, OBLIO



                       OBLIO




Il tuo chiamare accanto alla tua voce,
ultima libertà  senza paese,
fu desolato amore che distese
in te solo caduto la sembianza

Ascolto, all'eco della lontananza
mare morto nel mare alla sua foce

Tutto si calma di memoria e resta
il confine più dolce della terra,
una lontana cupola di festa.



Alfonso Gatto

giovedì 20 novembre 2014

Godetevi questa antinomia...

Sorrowful present

Il presente è un tempo
eterno e immorale
spesso gravoso da portare
su spalle troppo tese
e inarcate a prevedere
quando possa cessare
il presente ti chiede
d'esser sempre presente
ma non sempre possiamo
o vogliamo
oblio scordar dimenticar
dal presente affrancar le nostre ore.

Wonderful present

Il presente è un tempo
eterno e immortale
spesso esaltante a pesare
su spalle troppo tese
e inarcate a prevedere
quanto possa durare
il presente ti chiede
di non cambiare
ma non sempre possiamo
o vogliamo
gioia fissar, ricordar
al presente ancorar le nostre ore.

Poesie di Ipazia

sabato 15 novembre 2014

MONIZA ALVI, Shoes and Socks (Scarpe e calzini) trad.Paola Splendore



Moniza Alvi è nata nel 1954 a Lahore, in Pakistan, da padre pakistano e madre inglese. Cresciuta in Inghilterra, ha studiato nelle Università di York e di Londra.
 La poesia è tratta da "UN MONDO DIVISO", a cura di Paola Splendore, Donzelli Editore, ISBN 978-88-6843-079-5












In the vast forecourt of the Badshahi Mosque
my cousin pulls off his trainers.
I've never seen so many holes in socks!

The exhibits here are shoes and socks
temporarily abandoned by their owners,
a little hope tied in the laces -

Ali Baba sandals, business shoes
all precious to the shoe-keeper.
Azam's socks have gaping holes,

one for each of his teenage years?
And through them slip his studies,
political career, his rebellion,

his dutiful laying of the table.
Religion rumbles through the holes,
the insistent cry of the muezzin,

fears of what will happen to him if
he sleeps with a girl before marriage
and is discovered...

Those who desire to fulfil their desires,
or wish to free themselves of desire,
leave their footwear paraded on the steps,

each shoe a small vessel for prayer.
Trainers for the new world, the old world.
In sight of the towering gateway -

the earthbound shoes and socks.



Sull'ampia spianata della Moschea  Badshahi
mio cugino si toglie le scarpe da ginnastica.
Non ho mai visto tanti buchi nei calzini!

Qui sono in mostra scarpe e calzini
provvisoriamente abbandonati dai proprietari,
un po' di speranza annodata ai lacci -

sandali di Alì Babà, scarpe da lavoro
tutte preziose per il custode,
I calzini di Azam sono pieni di buchi,

uno per ciascuno dei suoi giovani anni?
e dai buchi scivolano fuori studi,
carriera politica, ribellione,

e lui obbediente che apparecchia a tavola.
La religione tuona da quei buchi,
il grido insistente del muezzin,

la paura di ciò che gli accadrebbe se
andasse a letto con una ragazza prima di spossarsi
e fosse scoperto...

Quelli che desiderano realizzare i propri desideri
o voglioni liberarsi dal desiderio,
lasciano le scarpe in mostra sui gradini,

ogni scarpa un piccolo vaso di preghiera.
Scarpe per il nuovo mondo, il vecchio mondo.
Davanti all'entrata imponente -

scarpe e calzini costretti a terra.






domenica 9 novembre 2014

RISCOPRIRE...Papini, Giovanni


  Occasione. del tutto fortuita e forse per questo non casuale, della "riscoperta" di Giovanni Papini è stato l'acquisto dalla bancarella di libri usati dell'ormai famoso "indianino"  di Piazza Esedra del libro IL MITO DELLA GRANDE GUERRA, Mario Isnenghi, Editori Laterza, Bari 1970.
 A pag 85 del citato libro si trova una spietata e quanto mai attuale  analisi della politica italiana, tratta dall'articolo " FREGHIAMOCI DELLA POLITICA", in Lacerba, I,19,1913:

Il deputato compra i voti dei suoi elettori o a contanti o con piccoli favori personali o con grossi favori locali a paesi, a società, a classi; il ministro compra i voti dei deputati concedendo a questi i mezzi necessari per comprare gli elettori (croci, impieghi, lavori pubblici ecc.) o con favori diretti; gli affaristi comprano i voti dei deputati cointeressandoli nei loro affari o dando loro qualche canonicato segreto; comprano i pareri dei ministri minacciandoli di rappresaglie o promettendo benefizi; comprano i cervelli della gente minuta dando loro per un soldo otto pagine di politica, di telegrammi, di opinioni, di letteratura, d'incisioni e di varietà. (il corsivo è mio).
Gli altri poteri già nominativi ( e che spesso  stringono accordi col potere massimo di cui tutti hanno bisogno) si servono degli stessi mezzi, cosicché la famosa democrazia si riduce unicamente ai discorsi che si fanno nei comizi, nei consigli comunali, nei giornali, a Montecitorio, i quali cambiano ben poco la reale essenza delle cose - cioè il fatto di una nazione di lavoratori e consumatori spadroneggiata da poche centinaia di ricchi astuti e attivi e da qualche migliaio di chiacchieroni loro  dipendenti. ( il corsivo è di nuovo mio).

                                    
                             _____________________________________



Papini, Giovanni. - Scrittore italiano (Firenze 1881 - ivi 1956). P. fu parte viva del movimento letterario, filosofico e politico, che ai primi del Novecento promosse da Firenze lo svecchiamento della cultura e della vita italiana. Tra i fondatori delle riviste Leonardo (1903) e Lacerba (1913), concepì la letteratura come «azione» e diede ai suoi scritti un tono oratorio e dissacrante. Tra le opere più note si ricordano: l'autobiografia Un uomo finito, il saggio Stroncature, le prose liriche Giorni di festa (1918).

martedì 4 novembre 2014

I wanted to be the wolf





SELF-PORTRAIT
BY CYNTHIA CRUZ

I did not want my body
Spackled in the world's
Black beads and broke
Diamonds. What the world

Wanted, I did not. Of the things
It wanted. The body of Sunday
Morning, the warm wine and
The blood. The dripping fox

Furs dragged through the black New
York snowthe parked car, the pearls,
To the first pew—the funders,
The trustees, the bloat, the red weight of

The world. Their faces. I wanted not
That. I wanted Saint Francis, the love of
His animals. The wolf, broken and bleeding
That was me.


AUTORITRATTO

Non volevo il mio corpo
Imbalsamato tra le perle nere
E i rotti diamanti
Del mondo. Ciò che il mondo 

Voleva, io non volevo. Delle cose
Che voleva. Il corpo della Domenica
Mattina, il caldo vino e
Il sangue. La gocciolante pelliccia

Della volpe trascinata attraverso la nera
Neve di New Yorkl'auto parcheggiata, le perle,
Al primo bancoi finanziatori,
I fiduciari, il rigonfiarsi, il rosso peso
Del mondo. I loro volti. Io non volevo
Quello. Io volevo San Francesco, l'amore
Dei suoi animali. Il lupo, ferito e sanguinante
Ero io.

Traduzione di Ipazia








sabato 1 novembre 2014

Evgenij Baratynskij, da LIRICHE, Естъ грот наяла там...,C'è una grotta, una naiade...



Естъ грот наяла там....



Adolphe Lalyre - La Madeleine





C'è una grotta: una naiade, nell'ora del meriggio,
vi abbandona al torpore la sua bellezza stanca.
E spesso io vedo quella giovane ninfa, come
giace sopra il suo letto fatto di foglie, nuda,
reclinando sul braccio candido, al mormorio
di una fonte, la fronte coronata di carice.




giovedì 30 ottobre 2014

Evgenij Baratynskij, da LIRICHE, NON VOLERE DA ME TENEREZZE INSINCERE



Притворной нежности не требуй от меня:
Я сердца моего не скрою хлад печальный.
Ты права, в нем уж нет прекрасного огня

Моей любви первоначальной.
Напрасно я себе на память приводил
И милый образ и прежние мечтанья






Non volere da me tenerezze insincere.
io non nascondo il gelo amaro che ho nel cuore.
Tu hai ragione, più non vi brucia la fiamma
             meravigliosa del mio primo amore.
             Richiamai inutilmente alla memoria
e la tua cara immagine e i sogni del passato:
              i miei ricordi sono senza vita,
              era troppo arduo il giuramento fatto.

              Non mi irretisce un'altra bella donna,
respingi dal tuo cuore gelose fantasie;
ma sono passati lunghi anni di lontananza,
nelle prove del vivere l'anima si è dispersa.
Già tu esistevi in lei come un'ombra fallace;
già ricorrevo a te raramente, forzatovi,
               e la fiamma, scemando poco a poco,
               si è spenta nel mio petto da se stessa.
Credimi, da compiangere son io soltanto. L'anima
               chiede amore, ma più non amerò,
non mi abbandonerò di nuovo: sino in fondo
                ci inebria unicamente il primo amore.

Vivo questa tristezza, che pure passerà
segnando la completa vittoria su di me
della sorte; e - chissà - mi adeguerò alla massa;
chissà, mi sceglierò senza amore una sposa.
In meditate nozze la condurrò per mano,
                sarò nel tempio accanto a lei, innocente,
                abbandonata, forse, alle illusioni
                più tenere, e mia la chiamerò.
Te ne verrà notizia, non invidiarci allora:
non ci sarà fra noi commercio di segreti
pensieri, non daremo agli slanci dell'anima
                libertà: le corone nuziali
                uniranno i destini, non i cuori.
Addio! A lungo andammo per un'unica strada;
io ne ho scelta una nuova, scegline una anche tu;
con la ragione tempera un dolore infruttuoso
e, ti prego, non scendere con me in vana lite.
                Impotenti noi siamo su noi stessi
                e pronunciamo in anni giovanili
                precipitosi giuramenti: quelli
a cui può darsi, un fato onniveggente irride.




                                                                                   Traduzione di Michele Colucci





domenica 26 ottobre 2014

Alfonso Gatto, CORSO



         

                                          CORSO

         
            Al crepuscolo la città s'incava nel cielo vuoto, ha
            una sua luce fredda ed incisiva in cui pesa reale e
            deserte: sembra che si affronti e si domini silenziosa.
            Ma repentinamente si disarticola nelle sue luci,
            s'apre a gridi nelle strade: perde la sua solitudine
            ed il cielo.
            Si delude la speranza: al crepuscolo sentivo di di-
            nire inanimato ed eterno, con la città giunto al
            silenzio, e liberato nel mio profilo come le mon-
            tagne.
            Ora, ripreso dal movimento, vivo: e senza distacco
            non mi posso vedere ed escludere. Perdo lo spazio
            nei luoghi, ed il silenzio e il suo infinito nelle oc-
            casioni del tempo: io stesso casuale in brevi sguardi
            di cose vere, in ascolto di voci. E sicuro di dubbi
            senza attenderli immanenti ed assoluti in un unico
            divieto. Sempre giungo al punto di risolvermi in un
            volto sereno e di temerlo: ricordo l'elezione per-
            duta come una nascita in cui finalmente dovrò
            morire.
     

sabato 25 ottobre 2014

"I See the Boys of Summer" by Dylan Thomas (read by Tom O'Bedlam)





Bella lettura de I See the Boys Of Summer. Per la traduzione ne sto ancora cercando una degna di nota.

Buon ascolto.


Impressioni d'ottobre- October Impressions

E mentre tutto intorno a me si sfalda,
l'armadio chiede il cambio di stagione.
Riusciranno le questioni ordinarie
a tenermi lontano dal dolore?

Poesia di Alexandra


And as  around me all is flaking off
the wardrobe's asking me the cleaning off.
Will succeed the ordinary matters
in saving me from everyday torment?

Poem by Alexandra