sabato 26 luglio 2014

Fernando Pessoa, IL LIBRO DELLA INQUIETUDINE,



LIVRO DO DESASSOSSEGO POR BERNARDO SOARES





Há em Lisboa um pequeno número de restaurantes ou casas de pasto [em] que, sobre uma loja com feitio de taberna decente, se ergue uma sobreloja com uma feição pesada e caseira de restaurante de vila sem comboios. Nessas sobrelojas, salvo ao domingo pouco frequentadas, é frequente encontrarem-se tipos curiosos, caras sem interesse, uma série de apartes na vida.

O desejo de sossego e a conveniência de preços levaram-me, em um período da minha vida, a ser frequente em uma sobreloja dessas. Sucedia que, quando calhava jantar pelas sete horas, quase sempre encontrava um indivíduo cujo aspecto, não me interessando a princípio, pouco a pouco passou a interessar-me...




Courtesy of G.Pancirolli on Flickr




  Esiste a Lisbona un piccolo numero di osterie o ristorantini ove, sopra uno spaccio da dignitosa mescita di vini, si erge un mezzanino dall'aspetto rustico e casalingo, sul tipo dei ristoranti di certe cittadine dove la ferrovia non arriva. In quei mezzanini in cui, esclusa la domenica, gli avventori sono rari, è frequente incontrare tipi curiosi, poveri diavoli, visi senza interesse, gente che vive a margine della vita.
  Il desiderio di tranquillità e i prezzi convenienti mi portarono in un certo periodo della mia vita ad essere cliente assiduo di uno di quei mezzanini. Capitava che, quando vi cenavo verso le sette, incontrassi quasi sempre un tale il cui aspetto, che dapprincipio mi era parso indifferente, cominciò a poco a poco a suscitare il mio interesse.
  Era un uomo dalla apparente età di trent'anni, magro, piuttosto alto, esageratamente curvo quando stava seduto ma un po' meno quando era in piedi, vestito con una certa ma non totale trascuratezza. L'aria sofferente non conferiva maggior interesse al pallido volto dai tratti comuni; una sofferenza di difficile definizione che poteva indicare varie cause: privazioni, angosce, e quel patimento che nasce dall'indifferenza proveniente dall'aver sofferto molto.
  Cenava sempre con parsimonia e alla fine del pasto si arrotolava una sigaretta con tabacco di cattiva qualità. Osservava acutamente i presenti, con aria attenta ma non sospettosa; il suo non era uno sguardo censorio, ma un'attenzione che tuttavia non sembrava rivolta ai tratti ed alle fisionomie della gente. Fu questo suo curioso atteggiamento che suscitò il mio primo impulso di interesse per lui. Cominciai a guardarlo attentamente. Mi accorsi che un'espressione di un'intelligenza discreta animava vagamente il suo viso. Ma l'aria depressa, la fredda angoscia stagnante fasciavano così perfettamente la sua fisionomia che era difficile penetrarla.
  Seppi per caso da un cameriere che faceva il contabile in una ditta commerciale vicina.
  Un giorno, per strada, proprio sotto le nostre finestre, ci fu un piccolo avvenimento: due passanti che si azzuffarono. Gli avventori del ristorante si precipitarono alle finestre; anch'io, e anche la persona di cui parlo. Scambiai con lui una frase banale, ed egli mi rispose con una frase simile. La sua voce era opaca e tremula come quella delle persone che non sperano in niente perché conoscono la perfetta inutilità della speranza. Ma forse era assurdo dare tanta importanza al mio serale compagno di ristorante.
  Non so perché, da quel giorno cominciammo a salutarci. Finché una volta, resi forse solidali dall'insolita coincidenza di cenare entrambi alle nove e mezzo, avviammo una conversazione di circostanza. Ad un certo momento egli mi chiese se io scrivessi. Gli risposi di sì. Gli parlai della rivista Orpheu uscita di recente. Egli la elogiò con generosità, e allora io mi stupii sinceramente. Mi permisi di manifestargli il mio stupore, perché l'arte di coloro che scrivono su Orpheu suole essere riservata a pochi, ma egli rispose che forse era uno di quei pochi; e poi aggiunse che una tale arte non gli diceva, in verità, alcunché di nuovo: e poi timidamente mi confidò che, non avendo molte cose da fare né dove andare, né amici cui poter far visita, né passione per la lettura, era solito passare le sue serate, nella sua stanza d'affitto, scrivendo anche lui.




(90) 

   Penso a volte che non uscirò mai da questa Rua dos Douradores. E se lo scrivo, mi sembra l'eternità

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